Sì, l’attestato di verifica rilasciato da un ente terzo accreditato deve essere reso disponibile e pubblicato nella relativa scheda di registrazione di ogni prodotto e/o organizzazione registrato CFI.
Ai fini della Carbon Footprint dev’essere considerata solo l’energia autoconsumata (quantificata come energia fotovoltaica), in quanto quella ceduta in rete va a far parte del mix energetico nazionale.
Nel caso di coesistenza di più PCR, il Programme Operator Carbon Footprint Italy considera valide quelle dell’International EPD® System e di EPD Italy. Altrimenti, CFI può ritenere valide anche le PEFCR, previa valutazione del Comitato Tecnico-Scientifico (CTS).
La ISO 14067 descrive in dettaglio come gestire l’uptake della CO2 nella biomassa negli studi cradle to grave. Infatti, al p.to 6.5.2 è richiesto che “Removals of CO2 into biomass shall be characterized in the LCIA as -1 kg CO2e/kg CO2 in the calculation of the CFP when entering the product system. Emissions of biogenic CO2 shall be characterized as +1 kg CO2e/kg CO2 of biogenic carbon in the calculation of the CFP”. Ciò implica la volontà del normatore di far sì che il beneficio dell’assorbimento (uptake) da processi biogenici della CO2 sia bilanciato dall’emissione che ha luogo a fine vita.
La norma è molto precisa nell’indicare quando i requisiti sono applicabili anche agli studi di partial CFP e non essendo specificato in questo punto il caso del Partial CFP è evidente che il requisito 6.5.2 deve intendersi applicabile solo agli studi di “full” CFP.
Il normatore non ha quindi specificato al p.to 6.5.2 che tipo di caratterizzazione si debba applicare per l’uptake negli studi cradle to gate, e pertanto, non essendo citata la partial CFP, si ritiene che questo “removal” non debba essere caratterizzato in questi studi.
D’altro canto, al p.to 6.4.9.3 è richiesto che “Information on biogenic carbon content shall be provided when performing cradle to gate studies, as this information may be relevant for the remaining value chain”. Ciò sta ad indicare, la volontà di una comunicazione trasparente nella value chain che consenta, negli studi cradle to gate, ai soggetti a valle di conoscere le informazioni relative ai valori di uptake.
In questo modo, chi realizzerà uno studio cradle to grave partendo dalle informazioni dello studio cradle to gate potrà utilizzarle per specificare la quantità di carbonio fissata nei processi di uptake che sarà poi emessa nel fine vita.
Infatti, sempre al punto 6.4.9.3, si precisa che le informazioni sul carbon content non fanno parte del valore di CFP: "If a product’s biogenic carbon content is calculated, it shall be documented separately in the CFP study report but it shall not be included in the result of CFP or partial CFP”.
In conclusione, la caratterizzazione prevista al p.to 6.5.2 della ISO 14067 si applica solo alla CFP totale e per la Partial CFP l’uptake non dev’essere caratterizzato, però il valore di uptake deve essere comunicato come informazione aggiuntiva, per facilitare lo sviluppo di ulteriori studi di CFP cradle to grave da parte dei clienti.
Sì, è possibile applicare il marchio direttamente sul servizio di trasporto (es. camion) in quanto costituisce il prodotto verificato.
La CFP SA è descritta nell’allegato C della ISO 14067:2018. Al punto C.3.4 “Validazione dell’approccio sistematico della CFP” è richiesto che siano condotte delle “valutazioni interne dell’approccio sistematico alla CFP a intervalli programmati per assicurarne la continua idoneità, adeguatezza ed efficacia”. L’evidente finalità è che l’organizzazione possa assicurare, attraverso un controllo interno, che l’approccio sistematico CFP SA continui ad essere in grado di assicurare i risultati previsti. L’audit interno può essere quindi considerato come una possibile modalità per eseguire tale valutazione, anche se non può essere considerato l’unico.
Non è, invece, in alcun modo sostenibile l’interpretazione che prevede l’obbligo di condurre un audit interno prima dell’esecuzione della verifica di terza parte. Questa richiesta è mutuata dall’esperienza degli enti di certificazione nei sistemi di gestione che, in accordo alla norma di accreditamento ISO 17021-1, prevedono come obiettivo dello Stage 1 la valutazione che “gli audit interni e i riesami di direzione siano in corso di pianificazione ed esecuzione” (p.to 9.3.1.2.2 g) e l’obbligo che nel corso dello Stage 2 siano valutati gli audit interni e il riesame della direzione (p.to 9.3.1.3 e).
Tali requisiti non sono in alcun modo presenti nelle versioni vigenti delle norme di accreditamento per le verifiche GHG (ISO 14064-3 e ISO 14065), così come nella norma generica per l’accreditamento delle verifiche e validazioni (ISO 17029) e nella futura revisione della ISO 14065, proprio perché queste attività sono fondamentalmente diverse dalla certificazione dei sistemi di gestione.
Non vi è, pertanto, nessuna prescrizione nel sistema di accreditamento della verifiche dei GHG che possa supportare la richiesta dello svolgimento di un audit interno prima della veridica di terza parte.
In upstream, se noti i dati dai fornitori, è corretto utilizzare il residual mix, mentre per il downstream, non avendo informazioni esatte sui consumatori sarebbe più corretto inserire il valore di electricity mix. Se non indicato diversamente dalla PCR.
No, non è possibile assegnare questi benefici solo a un prodotto specifico, ma debbono essere distribuiti su tutta la produzione in accordo alle procedure di allocazione dello studio, in quanto questi input sono da ritenersi di pertinenza dell’intera produzione dello stabilimento in questione.
In altre parole, ove le GO acquistate non coprano l’intero consumo di energia elettrica di stabilimento, sarà necessario considerare in modo equo, sulla base delle specifiche procedure di allocazione dello studio (es. di massa o economiche) il beneficio derivante da tale quota di GO per tutti i beni prodotti nel sito, e non sarà in alcun modo possibile arrivare ad attribuire ad alcuni prodotti il 100% delle GO e ad altri lo 0%.
A tal riguardo, si è consapevoli che le norma ISO 14040/14044 e ISO 14067 possono portare a diverse interpretazioni su questo e altri punti degli studi di CFP, ma al fine di evitare un approccio disomogeneo, Carbon Footprint Italy ha scelto di considerare accettabile solo l’approccio più conservativo sopra descritto, col fine di assicurare dei risultati più confrontabili e credibili.
Ove lo studio sia genericamente riferito ad un prodotto è necessario che tutti gli stabilimenti coinvolti in tale sistema prodotto rientrino all’interno dei confini di sistema dello studio. In alternativa è possibile limitare lo studio alla produzione che ha luogo in un singolo stabilimento, ma nel rapporto e nei documenti di attestazione della conformità dev’essere chiaramente indicata l’applicabilità della CFP al singolo stabilimento e l’esplicita esclusione agli altri stabilimenti in cui ha luogo tale produzione.
Si devono includere le emissioni aeree nel caso in cui le materie prime del prodotto finito o il prodotto finito stesso siano spediti in aereo e non le emissioni aeree contenute all’interno dei dataset.
CFI accetta l'approccio cradle to gate, purché l'azienda specifichi nelle note “Attenzione: rispetto alla PCR c’è una deviazione”. Inoltre, l’azienda deve spiegare il perché non considera il fine vita (nel caso in cui la PCR obblighi l'approccio cradle to grave).
I prodotti simili realizzati dalla stessa organizzazione con una differenza di impatto del +- 10% possono essere presentati in un'unica registrazione CFP.
No, la norma ISO 14067 ribadisce che “La compensazione climatica relativa alla CFP o alla CFP parziale non rientra nello scopo e nel campo di applicazione”
Ciò viene ribadito anche:
- nella definizione 3.1.1.7 sulla compensazione climatica e, in particolare, nella Nota 1: “La compensazione climatica non è consentita nella quantificazione di una CFP o di una CFP parziale”.
- al punto 6.3.4.1 Nota 1 “La CFP e la CFP parziale non devono comprendere la compensazione climatica”.
Pertanto, in questi casi deve essere considerato il valore di CFP di tali materiali prima della loro compensazione.
No, secondo lo standard ISO di riferimento l’organizzazione può scegliere quante e quali facilities inserire nei confini organizzati dell’inventario GHG di organizzazione in accordo con il p.to 5.1 della ISO 14064-1 e non è tenuta a fornire alcuna giustificazione in merito a questa decisione.
Secondo il Programme Operator Carbon Footprint Italy, tali emissioni non devono essere contabilizzate nella categoria 3.1. – Emissioni indirette da trasporto up-stream e distribuzione di merci, nè nella categoria 3.2 – Emissioni indirette da trasporto down-stream e distribuzione di merci. Pertanto, il CFI suggerisce di rendicontare tali emissioni in una categoria dedicata: categoria 3.6 – Emissioni indirette da trasporto di prodotti avviati alla lavorazione in conto terzi.
Il Programme Operator Carbon Footprint Italy accetta le seguenti opzioni:
Per azioni di riduzione debbono intendersi quelle intraprese dall’organizzazione per ridurre effettivamente le emissioni di GHG, quindi attraverso innovazione di processo, azioni lungo la filiera, utilizzo di materia prima meno impattante, etc.
In quest’ottica l’utilizzo di certificati di garanzia d’origine potrebbe essere soggetto a diverse interpretazioni, talora come effettivo utilizzo di energia a minore intensità di carbonio e in altre come semplice meccanismo finanziario. Per tale ragione, l’incremento nell’utilizzo di GO è considerata una possibile azione integrativa di altre azioni di riduzione (e quindi contabilizzata nella riduzione complessiva) in ambito CFP, ma non in termini esclusivi. Non sono, quindi, accettate riduzioni risultanti solo da un cambio di fornitura di energia elettrica a favore di un contratto con sola energia rinnovabile.
Resta inteso che nel caso della CFO tale azione non è in alcun modo accettabile in quanto è applicabile il solo approccio location-based.
(Carbon Footprint of Product). Impronta climatica di un prodotto. Metodologia basata sulla LCA con cui è calcolata l’emissione di GHG in tutto il ciclo di vita di un prodotto, “dalla culla alla tomba”.
(European Union Emissions Trading Scheme). Conosciuto come Emission Trading è il sistema di cap and trade europeo che si attua limitando le emissioni di CO2 delle aziende di certi settori industriali e creando un mercato europeo in cui poter acquistare e vendere quote di CO2.
(Greenhouse Gas). Sigla con cui sono identificati a livello internazionale i gas serra. Questi comprendono, oltre alla CO2, il metano (CH4), il protossido d’azoto (N2O) e una serie di prodotti di sintesi organo alogenati.
(International Organization for Standardization). Ente di normazione internazionale, formato dalla rete degli enti di normazione nazionali di 162 paesi. Il segretario generale che coordina il sistema ha sede a Ginevra.
(Life Cycle Assessment). Analisi del ciclo di vita di un prodotto. Metodologia alla base della CFP e basata su quanto richiesto dalla ISO 14040 e ISO 14044.
(Product Category Requirements). Specifici requisiti di categoria di prodotto previsti dalla ISO 14025 per le dichiarazioni ambientali di III tipo.